La Corte di Appello di Trieste, in sede di reclamo avverso un decreto del Tribunale di Udine di apertura dell’amministrazione di sostegno, nell’accogliere il gravame e revocare la misura di protezione, chiarisce che non è idoneo a fondare la misura dell’amministrazione di sostegno quel “giustificato comportamento di una madre che, a conoscenza delle criticità della propria famiglia, liberamente impiega il proprio denaro a beneficio di un figlio, piuttosto che degli altri (ricorrenti), da lei in qualche misura ritenuti più fortunati”.
Ciò a maggior ragione quando non siano riscontrabili nella persona della beneficiaria infermità o menomazioni fisiche o psichiche tali da giustificare la misura di protezione, come ritenuto dalla Corte all’esito del riesame in udienza della beneficiaria e considerata la contraddittorietà della CTU svolta in primo grado.
E’ comunque opportuno dare spazio ad una analisi critica del provvedimento della Corte d’Appello, non tanto per le condivisibili conclusioni che dispongono la revoca dell’amministrazione di sostegno, quanto piuttosto per un passaggio logico motivazionale che pare in contrasto con i consolidati e noti orientamenti.
Infatti, al di là della rilevata mancanza dei presupposti oggettivi del 404 c.c., questione di per sé dirimente, la Corte evidenzia che ” non risulta, per la genericità delle allegazioni del ricorso introduttivo, che delle suddette dazioni di denaro, di certo non particolarmente elevate, sia derivata una sensibile riduzione del suo patrimonio, ed un reale pericolo per la sua autonomia patrimoniale e finanziaria, tale da poter costituire in prospettiva un danno per le sostanze economiche degli stessi ricorrenti“.
Parrebbe infatti che la Corte, con il passaggio in esame, ritenga che qualora i ricorrenti avessero dato una maggior prova del pericolo di depauperamento patrimoniale e finanziario, tale anche da deludere le mere aspettative ereditarie dei figli, ciò solo sarebbe stato sufficiente a giustificare l’adozione della misura di protezione.
E’ ben noto che con l’avvento dell’amministrazione di sostegno il concetto di protezione patrimoniale si è ampiamente evoluto rispetto alla concezione paternalistica dalle vecchie pronunce interdittive, rivolte a preservare non già i diritti all’autodeterminazione, le aspirazioni ed i bisogni del tutelato, quanto piuttosto la conservazione generazionale delle sostanze economiche.
La misura dell’amministrazione di sostegno viceversa, secondo l’orientamento giurisprudenziale fedele al dettato normativo ed alla ratio legis, è strumento idoneo a proteggere sul piano personale e patrimoniale il solo beneficiario e non certo mere aspettative dei futuri chiamati all’eredità.
avv. Matteo Morgia