Secondo la Corte di Cassazione SI!
La corte, nell’ordinanza 5/12/2019 – 27/02/2020 n. 5380 dd. Ha enunciato, infatti, il seguente principio di diritto:
“I beneficiari di una Amministrazione di Sostegno sono dotati di una autonoma legittimazione processuale non solo ai fini dell’apertura, ma anche per impugnare i provvedimenti adottati dal Giudice Tutelare nel corso di tale procedura, essendo, invece necessaria l’assistenza dell’Amministratore di Sostegno e la previa autorizzazione del Giudice tutelare, a norma del combinato disposto dell’art. 374 c.c., n. 5 e art. 411 c.c., per l’instaurazione di giudizi nei confronti di soggetti terzi estranei a tale procedura”.
Il principio non sconvolge affatto ciò che pareva, invero, pacifico in giurisprudenza (evidentemente non così per il Tribunale di Civitavecchia). Nondimeno, la prassi parrebbe tacitare ogni questione sul conferimento di incarico ad un legale per il reclamo ai provvedimenti del Giudice Tutelare anche quando la capacità di intendere e volere del conferente beneficiario possa apparire significativamente scemata, prevalendo, nel caso di specie, la pur fievole volontà del soggetto di veder ragione del proprio dissenso rispetto alle decisioni assunte dal Giudice.
Il commento merita dunque di esser speso, non tanto per il principio di diritto espresso dalla Cassazione, bensì per il rischio che il percorso logico giuridico seguito dalla Corte – in assenza di una premessa, a mio avviso doverosa – possa condurre ad un assioma persino aberrante.
E’ pur vero, infatti, che l’art. 374 C.C. prevede la necessità di una autorizzazione ad hoc del Giudice Tutelare per “promuovere giudizi”, ma è altresì vero che questa autorizzazione, prevista dalla norma, è resa in favore del tutore e fa parte di un complesso di norme che prevedevano la necessità di una specifica legittimazione al rappresentante considerando che l’incapacità di agire dell’interdetto era insita nella sentenza di interdizione stessa.
A ben vedere, invece, l’articolo 411 c.c., pur citato dalla Cassazione in commento, prevede che l’autorizzazione del 374 c.c. possa ben valere anche nei casi di amministrazione di sostegno, ma SOLO nel caso in cui la sua applicazione sia compatibile con le norme dell’art. 404 e ss c.c. (… si applicano all’amministratore di sostegno, in quanto compatibili …).
Orbene, è di tutta evidenza, a mio avviso, che qualora il decreto di nomina non imponga alcuna limitazione alla capacità di agire del beneficiario (com’è il caso di una rappresentanza così detta “semplice”) ovvero, quand’anche, pur prevedendo alcune limitazioni, non includa fra gli atti limitati al beneficiario anche quanto previsto dal 374 c.c., questi conserva la capacità di agire per la promozione di giudizi, senza che neppure vi possa essere un sindacato dell’amministratore di sostegno o dell’ignaro Giudice Tutelare.
Ciò è di estrema rilevanza se consideriamo che il retaggio di molti decreti di nomina circolanti e che conferiscono rappresentanza semplice all’amministratore di sostegno, senza specificare limitazioni al beneficiario, recano la raccomandazione finale all’AdS affinché, qualora egli si trovi nella necessità di dover compiere atti di cui al 347 e 375 c.c. si premuri a richiederne preventiva e specifica autorizzazione al Giudice Tutelare.
A mio avviso questa stesura dei decreti non impedisce affatto al beneficiario di compiere validamente ed all’insaputa dell’AdS e del Giudice Tutelare gli atti di cui all’art. 374 e 375 c.c. riportando l’eventuale atto compiuto a dover ripescare le norme sull’incapacità naturale per l’eventuale suo annullamento.
Avv. Matteo Morgia