Un decreto del dott. Buffone, Giudice Tutelare del Tribunale di Varese, affronta un tema delicato come quello della sessualità delle persone incapaci, distinguendo accuratamente i casi di abuso dalla semplice manifestazione di un diritto personalissimo ed inviolabile della persona (anche se fragile).
Il caso che ha dato vita a tale pronuncia riguarda una Signora, più che maggiorenne, allora soggetta a tutela, la quale, dopo aver conosciuto un amico del fratello della sua badante, intraprende con quest’ultimo un rapporto affettivo ed intimo.
La sorella dell’interdetta, appresa la circostanza, la segnala con viva preoccupazione alla tutrice, un Avvocato.
Quest’ultima, dopo aver fatto promettere alla sua assistita di non avere più incontri con il compagno, presenta al G.T. un’istanza al fine di ottenere i provvedimenti opportuni per evitare il ripetersi della situazione.
Interpellato, il Giudice Tutelare respinge tale richiesta.
Tra le motivazioni, il dottor Buffone fa emergere, innanzi tutto, che la signora soggetta a tutela è affetta da una patologia che non tocca la sua capacità di autodeterminazione in relazione ad atti personalissimi come quello in questione.
Vengono poi esposte le ragioni di diritto del rigetto, ossia le fonti normative ed i precedenti giurisprudenziali dai quali si deve evincere che il diritto alla sessualità ha natura di diritto fondamentale ed inviolabile, che trova tutela costituzionale (art. 2 Cost.)
Si sostiene infatti che “essendo la sessualità uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, il diritto di disporne liberamente è, senza dubbio, un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l’art. 2 Cost. impone di garantire”.
Importante ricordare anche la Convenzione di New York del 2006, relativa ai diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia nel 2009, che riconosce espressamente “l’importanza, per le persone con disabilità, della loro autonomia ed indipendenza individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte” e che all’art.12 sancisce che:” “Gli Stati devono assicurare che le misure relative all’esercizio della capacità giuridica rispettino i diritti, la volontà e le preferenze della persona, che siano scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita, che siano proporzionate e adatte alle condizioni della persona, che siano applicate per il più breve tempo possibile e siano soggette a periodica revisione da parte di una autorità competente, indipendente ed imparziale o di un organo giudiziario”.
Il GT sottolinea dunque che, date queste premesse, “la protezione del soggetto vulnerabile non può tradursi in un “esproprio” dei suoi diritti, anche là dove l’esigenza di tutela non sia ravvisabile (es. testamento: 591 c.c.; matrimonio: 85 c.c.; etc.) oppure ancora si tratti di un contesto in cui trovano respiro i Diritti inviolabili”.
Nel caso di specie, quindi, il GT ritiene che, non essendo in dubbio il consenso della persona interdetta all’atto sessuale, “non sussiste alcun potere del G.T. in ordine alla sessualità della persona interdetta e, dinanzi ai rilievi del tutore, è solo possibile , in assenza di comportamenti che evidenzino oggettivamente un problema, svolgere accertamenti di minima invasività per verificare le condizioni di benessere psico-fisico della persona interdetta” (es.”un colloquio con una Psicologa affinché possa raccontare delle esperienze di vita che sta vivendo in questo periodo”).
Da questa situazione deve però tenersi ben distinta quella in cui l’incapace possa costituire un mero “oggetto” di attenzione sessuale, ossia quando non sia in grado di prestare il suo consapevole consenso, venga abusato, sottoposto a violenza o ancora sfruttato da persone che “mercificano” la sua sessualità e abusano della sua fragilità.
Tali ipotesi coinvolgono allora, per competenza, non solo i Servizi Sociali e il Consultorio ma anche l’Autorità giudiziaria penale, in modo che al supporto psicologico o psicoterapeutico possa affiancarsi la repressione dell’abuso e la punizione del colpevole.