Pubblichiamo, per gentile concessione dell’Autore, la relazione svolta ieri 20 novembre 2015 a Cormons dal Notaio Giacomo Busilacchio in occasione della conferenza organizzata da Università della terza età UNITRE in collaborazione con AsSostegno.
L’incontro, al quale sono intervenuti come relatori anche il Prof. Paolo Cendon e la dott.ssa Gloria Carlesso, è stato occasione preziosa per presentare l’istituto dell’amministrazione di sostegno e annunciare l’apertura di un nuovo Sportello a cura dello stesso Giacomo Busilacchio.
A lui il nostro più cordiale Grazie e l’augurio di….. buon ascolto!
Il tema che mi è stato affidato ha per titolo “Amministrazione di sostegno e problematiche successorie”. Esso va esaminato sia dal punto di vista di chi è chiamato ad una eredità, erede o legatario, per successione legittima o testamentaria, sia da quello di chi può diventare autore di una successione. Necessita l’argomento anche di essere posto a confronto con il tradizionale istituto di tutela, che è l’interdizione, per poterne ricavare le differenze e gli esatti ed innovativi contorni.
Sotto il primo aspetto, che è quello che prende in considerazione il beneficiario di una amministrazione di sostegno in veste di soggetto destinatario di una chiamata ereditaria, la domanda che si pone è:
può il beneficiario di una amministrazione di sostegno – cioè il soggetto debole sottoposto ad una misura di tutela – diventare erede e/o legatario? Se si, con quali limitazioni e con quali particolari formalità da espletare?
Il secondo aspetto, quello che considera il beneficiario di una amministrazione di sostegno come possibile autore di una successione testamentaria , pone la domanda:
può il soggetto beneficiario di una amministrazione di sostegno fare testamento? Se si, con quali limitazioni?
Alla prima domanda sulla possibilità giuridica dell’amministrato di ereditare la risposta è certa ed univoca.
Si, egli può succedere, tanto in forza di legge, quanto in virtù di disposizioni testamentarie, perché nel nostro ordinamento giuridico ad ogni persona nata, in quanto persona, è riconosciuta la cosi detta “capacità giuridica”, la quale è, secondo la definizione di legge, “l’attitudine a essere titolari di diritti e di obblighi”.
Anzi, in campo successorio il nostro Codice Civile prevede all’art. 462 una vocazione ereditaria anche a favore del concepito non ancora nato e addirittura al non ancora concepito purché figlio di un soggetto nato al tempo della morte del testatore. Un testamento potrebbe senz’altro legittimamente contenere una disposizione in cui il testatore dichiara, ad esempio, di lasciare la casa sita in Trieste alla Via Roma al primo figlio che nascerà dal proprio nipotino Roberto. Si tratta di una chiamata ereditaria condizionata alle circostanze future ed incerte che al momento della morte del testatore sia vivo il nipotino Roberto e che a questi nasca il figlio.
Rispetto alla nostra domanda si può, allora, rispondere che nessuna condizione di disabilità, fisica o psichica, ha influenza in ordine al diritto a succedere, perché ogni essere umano è sempre, in ogni caso, stato, condizione e situazione, un “soggetto di diritto”.
La “capacità giuridica” si acquisisce con la nascita e cessa solo con la morte fisica del suo titolare.
Diversa, invece, è la situazione che si presenta quando il diritto a succedere deve essere nel concreto esercitato da parte di chi è stato chiamato ad una successione, tanto legittima, quanto testamentaria, sia a titolo universale, sia a titolo particolare; cioè in qualità di erede o di legatario.
Qui non ci si trova più di fronte alla “capacità giuridica” di cui ogni persona, in quanto tale, è illimitatamente dotata, quanto piuttosto alla cosi detta “capacità di agire”, che, secondo la definizione dell’art. 2 del c.c. consiste nella “attitudine a compiere validamente atti giuridici che producono effetti per l’agente”; cioè, per chi li compie e che, di conseguenza, invadono anche le sfere di diritto di altri soggetti con cui ci si è giuridicamente posti in relazione.
La questione non è più essere giuridicamente in grado di acquisire diritti, ma consiste nell’essere giuridicamente legittimati di gestirli e di negoziarli validamente.
La “capacità di agire”, per legge e di norma, si acquisisce con il raggiungimento della maggiore età stabilita al compimento del 18° anno; età legalmente considerata, in via astratta, come standard di presumibile presenza nella persona di idoneità e maturità sufficientemente sviluppate in grado di consentire e garantire un agire cosciente e in grado di autodeterminarsi liberamente.
Tuttavia, può succedere che tale presunzione si scontri con problemi di debolezza e difficoltà naturali causate da situazioni patologiche, congenite o insorte per varie ragioni, normalmente afferenti la sfera psichica del soggetto, per cui nella realtà esistenziale della specifica persona non c’è, o risulta molto ridimensionata, la libera e cosciente autodeterminazione.
In questi casi la legge si pone il problema di tutelare gli interessi del soggetto in difficoltà, creando intorno a tale soggetto una rete di protezione che gli impedisca, sia di “farsi male” con il suo agire non del tutto cosciente, sia di diventare bersaglio di approfittatori senza scrupoli dai quali il soggetto debole non sa o non può adeguatamente difendersi.
La rete di protezione opera, però e necessariamente, pesando negativamente sulla “capacità di agire” del soggetto da tutelare, a volte limitandola blandamente, a volte invece comprimendola notevolmente fino, in certi casi estremi, a sopprimerla quasi completamente.
Ciò avviene attraverso il pronunciamento di provvedimenti dell’autorità giudiziaria che prendono la forma, a volte di sentenze, a volta di decreti; pronunciamenti che vengono adottati dopo un serio esame della situazione e in funzione esclusiva dell’interesse del soggetto da proteggere e anche in contradditorio con il medesimo.
Questi istituti giuridici di protezione sono l’inabilitazione, l’interdizione e l’amministrazione di sostegno.
L’interdizione e l’inabilitazione sono istituti giuridici di antica tradizione, mentre l’amministrazione di sostegno è stata inserita nel nostro ordinamento giuridico solo dal gennaio 2004 con la legge n. 6.
Tra loro questi istituti, pur perseguendo gli stessi fini di tutela e di protezione del beneficiario, sono profondamente diversi, non solamente nella disciplina codicistica, ma soprattutto nei presupposti culturali a loro sottesi e nella filosofia che li animano.
Esaminiamone le differenze.
Tralasciando l’istituto dell’inabilitazione, nell’applicazione ormai desueto, in ordine alla materia che ci interessa, la legge, in merito alla “capacità di agire” dell’interdetto in caso di una sua vocazione ereditaria, dispone con l’articolo 374 e con l’articolo 471, (norma riguardante anche il minore di età), statuendo che per tali soggetti l’eredità o il legato possono essere accettati solo previa autorizzazione giudiziaria, che ne valuterà l’opportunità e la convenienza in ordine all’interesse del minore e/o dell’interdetto, ed esclusivamente con il beneficio d’inventario.
Il beneficio d’inventario, impedendo che dei pesi e dei debiti ereditari l’erede venga chiamato a rispondere anche con il proprio personale patrimonio, è imposto per legge come ulteriore misura di tutela.
Non si fa cenno al beneficiario dell’amministrazione di sostegno.
L’altro aspetto da esaminare è la legittimazione a validamente testare.
Qui la domanda è: il soggetto sottoposto a misura di protezione può fare testamento?
Art. 591 c.c. : “Sono incapaci di testare: coloro che non hanno compiuto l’età di diciotto anni; gli interdetti per infermità di mente; quelli che, sebbene non interdetti, si provi essere stati, per qualsiasi causa, anche transitoria, incapaci d’intendere o di volere nel momento in cui fecero testamento. Nei casi di incapacità preveduti dal presente articolo il testamento può essere impugnato da chiunque vi abbia interesse. L’azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie”
Niente si dice per il beneficiario dell’amministrazione di sostegno, la cui disciplina su questo argomento va ricavata dalla lettura comparata degli articoli 404, 405 commi 3 e 4, e articoli 409 e 411 ultimo comma della legge n. 6/2004.
L’art. 404, nel descrivere le condizioni soggettive ed oggettive legittimanti la nomina di un ADS, parla di “persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale e temporanea, di provvedere ai propri interessi”.
I commi 3° e 4° dell’art. 405 dispongono che il decreto di nomina dell’ADS deve contenere l’indicazione “dell’oggetto dell’incarico e degli atti che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario” e l’indicazione “degli atti che il beneficiario può compiere solocon l’assistenza dell’amministratore di sostegno”.
L’art. 409 dal canto suo afferma che “il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno”.
Da ultimo, l’art. 411 prevede in chiusura che “il giudice tutelare, nel provvedimento con il quale nomina l’amministratore di sostegno, o successivamente, può disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze previste da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, si estendano al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, avuto riguardo all’interesse del medesimo”
La conclusione, allora, è che la legittimazione a testare validamente del beneficiario di una amministrazione di sostegno – diversamente da quanto accade al minore e all’interdetto cui sempre è negata la possibilità di disporre per testamento – risulterà esclusa solo se ciò risulterà in modo espresso dal decreto del G.T. istitutivo dell’amministrazione, che a mente dell’art. 411, avrà ritenuto di estendere al beneficiario le limitazioni di cui agli articoli 596, 599 dell’interdetto ritenendole in linea con l’interesse del tutelato e solo dopo attenta e scrupolosa istruttoria, alla quale avrà diritto di partecipare anche l’interessato con l’assistenza di un avvocato.
Per inciso, qui va detto che la legge n. 6 sull’amministrazione di sostegno, a differenza dell’interdizione, non richiede che nel procedimento di nomina dell’ADS di sostegno il beneficiando venga obbligatoriamente assistito da un proprio legale. La presenza di questi diventa necessaria quando il beneficiando lo richiedesse, ma la giurisprudenza è unanime nel ritenerne obbligatoria la presenza, a pena di nullità del procedimento, in tutti i casi in cui la misura di tutela dovesse negativamente incidere sull’esercizio dei così detti diritti personalissimi, quali il divorzio, separazione, il riconoscimento di figli naturali o il disconoscimento di paternità e, tra questi, la facoltà di disporre con testamento.
Rimarrà, di contro, integra la legittimazione a validamente testare del beneficiario, se l’estensione delle limitazioni non risulteranno applicate in modo espresso nel decreto istitutivo della misura di tutela, per cui, in questi casi, dovrà trovare applicazione l’art. 409 che, come visto, afferma che “il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno”.
Alle stesse conclusioni si arriva in relazione all’obbligo o meno del beneficiario di accettare l’eredità o il legato con il beneficio d’inventario. Questa forma di accettazione non sarà necessaria, se non risulta che il decreto abbia imposto le limitazioni in argomento in relazione al compimento di specifici atti di straordinaria amministrazione.
Anzi, in assenza di limitazioni, non sarà necessaria neppure l’autorizzazione ad accettare l’eredità o il legato e, di conseguenza, ben potrebbe configurarsi giuridicamente valida anche una accettazione tacita dell’eredità ed una immediata acquisizione del legato.
Questa disciplina, a geometria variabile, configura la misura di protezione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno come un abito su misura che sa adattarsi alla situazione concreta del soggetto in difficoltà e rende l’amministrazione di sostegno, a differenza dell’interdizione, un istituto di tutela adattabile ad personam e perfettamente rispettosa delle sue vere esigenze, necessità e dignità.
Una cosa, comunque, è impedita per legge in ogni caso al beneficiato per tutto il periodo in cui dura l’amministrazione e tale impedimento è codificato espressamente all’art. 411 comma 2° che dispone che “all’amministratore di sostegno si applicano, altresì, in quanto compatibili, gli articoli 596, 599 e 779 c.c.” dettati per l’interdetto.
Tali richiamati articoli sanciscono la nullità delle disposizioni testamentarie fatte dal beneficiario a favore del proprio ADS e ciò anche per interposta persona.
Pertanto, l’ADS di sostegno non può ereditare o essere destinatario di un legato disposti testamentariamente dall’amministrato.
Ad onor del vero, queste norme non vanno lette come un divieto di testare a carico del beneficiario, ma come una “incapacità soggettiva” dell’ADS a succedere; e le ragioni di questa incapacità sono intuitive.
Il divieto, tuttavia, non opera, per previsione del comma 3° del medesimo articolo 411, quando le disposizioni testamentarie del beneficiario sono a favore del proprio ADS che sia “parente entro il quarto grado, ovvero che sia coniuge o persona che sia stata chiamata alla funzione (di ADS) in quanto con lui stabilmente convivente”. Ed anche qui le ragioni sono altrettanto intuitive.
Avviandomi alla conclusione, una domanda su cui si è anche interrogata la dottrina è: il G.T. può affidare all’ADS la facoltà di fare testamento in rappresentanza del beneficiario con l’incarico di coglierne i desideri e gli interessi in qualche modo desumibili e decifrabili?
A questa domanda generalmente, e a ragione, si risponde di no, sulla base del principio che il negozio testamentario è da sempre configurato per antica e costante tradizione giuridica e giurisprudenziale come un atto personalissimo, libero e sempre revocabile, il cui compimento non può essere assolutamente delegato a terzi.
Ha, invece, fatto molto discutere una recente decisione di un G.T. in materia testamentaria riguardante il caso di un ammalato di SLA che aveva chiesto, attraverso il proprio ADS, di essere autorizzato a redigere il proprio testamento utilizzando un comunicatore oculare per manifestare le proprie volontà, essendo in grado di muovere del proprio corpo solo le pupille
Il G.T., accedendo alla richiesta, giudicando che la malattia a mente degli articoli 2 e 3 della Costituzione non può ergersi a discriminazione di un diritto inalienabile, facendo appello alla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità fatta a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata dall’Italia con la legge 3 marzo 2009 n. 18, accertato che la comunità scientifica internazionale riconosce generalmente credibilità allo strumento chiamato “comunicatore a controllo oculare”, la cui ancora scarsa diffusione è data solo per il suo alto costo, con proprio decreto datato 12 marzo 2012 ha nominato al beneficiario ammalato di SLA un curatore speciale incaricandolo di recarsi nell’abitazione del beneficiario e, in presenza dell’ADS, di chiedere al beneficiario stesso di redigere a video con il comunicatore oculare il suo testamento; ha ordinato al curatore di raccogliere la rappresentazione fotografica della schermata a video e, quindi, di riportare le volontà del beneficiario come risultanti dalla videata su atto scritto di suo pugno (pugno del curatore) secondo le forme dell’art. 602 c.c. – cioè quelle del testamento olografo – sottoscrivendo ogni foglio della scheda testamentaria con la formula” il sottoscritto curatore avv…..in rappresentanza sostitutiva di…..e per suo conto, ai sensi dell’art. 409 c.c. e giusta decreto del Tribunale di….di data….”
Il decreto ordinava al curatore di depositare l’originale della scheda testamentaria come sopra formata presso la casa del beneficiario e di depositarne una copia con le rappresentazioni fotografiche della schermata video presso gli atti del procedimento.
La nomina del curatore era stata disposta dal G.T. per evitare un presunto conflitto di interesse, essendo intenzione del beneficiario di nominare erede la propria sorella che era anche il proprio ADS.
Indubbiamente è una pronuncia molto singolare e ardita, il cui anelito poggia su un fortissimo, sincero ed encomiabile desiderio di tutelare al massimo le aspirazioni, e con esse la dignità, della persona; si direbbe quasi un atto d’amore espresso per far uscire il prigioniero dalla prigione del proprio corpo.
Ma la decisione, sotto il profilo asetticamente giuridico, appare molto azzardata e in ultima analisi anche dannosa per lo stesso beneficiario.
L’art. 602 c.c. disciplina le formalità del testamento olografo minuziosamente ed una di queste formalità, a pena di nullità, richiede che il testamento sia scritto interamente di pugno dal testatore.
La decisione del G.T. ha trascurato di considerare, forse, che nel nostro ordinamento giuridico esiste il testamento pubblico, che è atto ricevuto da notaio, cui può accedere anche chi non sa o non può scrivere, come il muto che non parla e chi, pur non essendo muto, si trova per qualsiasi causa a non poter esprimere verbalmente le proprie intenzioni. La legge notarile consente di recepire queste volontà attraverso forme precise e codificate e non esclude assolutamente che la volontà possa essere comunicata anche attraverso ausili meccanici e/o informatici.
Il ricorso a tali forme codificate avrebbe consentito all’ammalato di SLA di porre in essere un testamento perfettamente valido, per il cui ricevimento ci sarebbe stato bisogno solo di un notaio, di due testimoni, di cui uno in grado di comprendere la gestualità espressa attraverso il comunicatore oculare; non sarebbe occorsa la nomina di un curatore speciale che, mettendo per iscritto di suo pugno volontà altrui, ha redatto, non un testamento nullo, ma addirittura un non testamento, e, infine, non ci sarebbe stata neanche la necessità di autorizzazione del G.T. essendo il beneficiario persona in grado di intendere e di volere e, pertanto, perfettamente dotato di piena capacità di agire giuridicamente in grado di testare ex art. 409 c.c. peraltro espressamente enunciato in decreto.
La conseguenza è che il testamento olografo delegato sarà dichiarato nullo.
Riassumendo e concludendo:
chiunque, in quanto persona, e indipendentemente dalle sue condizioni fisiche o psichiche, ha la “capacità giuridica” di acquisire eredità e legati, per via di legge e per via di testamento;
chi è nella situazione naturale di intendere e di volere e non è minore d’età e non è stato dichiarato interdetto può validamente disporre della propria successione con testamento;
il beneficiario di una amministrazione di sostegno ha la “capacità di agire” in ordine alle proprie disposizioni testamentarie e in ordine alla facoltà di accettare o rinunciare ad eredità e legati, anche senza ricorrere ad autorizzazioni giudiziali o obbligo di beneficio d’inventario, tutte le volte in cui tale facoltà non sia stata espressamente compressa a norma dell’art. 411 c.c. dal decreto istitutivo dell’amministrazione di sostegno, o da successivo integrativo decreto, con i quali, e nell’ambito delle prescrizioni dei quali, gli siano state estese le limitazioni previste dall’ordinamento per l’interdetto.
Grazie per l’attenzione
Venerdì 20 novembre 2015, presso la Sala di Rappresentanza di Palazzo Locatelli a Cormons si è tenuta una conferenza organizzata da UNITRE insieme ad AsSostegno sul tema dell’Amministratore di Sostegno.
Sono intervenuti come relatori:
Dott.ssa Gloria Carlesso
Consigliere di Corte d’Appello a Trieste già Giudice Tutelare con un intervento dal titolo “Amministrazione di Sostegno, che passione!”
Prof. Paolo Cendon
Ordinario di Diritto Privato, Università di Trieste con un intervento dal titolo “Una riforma pensata nel 1986, in vigore dal 2004, sempre più importante nel 2015”.
Dott. Giacomo Busilacchio con un intervento dal titolo “Amministrazione di sostengo e problematiche successorie“.