Avvocato del foro di Bologna, civilista, è specializzato in diritto di famiglia, delle persone e dei minori. Ha maturato un’esperienza pluriennale come amministratore di sostegno su incarichi conferiti dal Giudice Tutelare del Tribunale di Bologna dal 2006. E’ autrice di diverse pubblicazioni, anche su riviste internazionali. Collabora al sito www.personeedanno.it nell’ambito del diritto di famiglia e del diritto dei trusts.
QUI IL VIDEO DELL’INTERVENTO – (disponibile dal 15.4.2014)
La notificazione
Il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno si contraddistingue, specie rispetto a quello relativo all’interdizione, per la semplicità e la snellezza: esso è svincolato al massimo da cavilli procedurali in modo da assicurare al soggetto debole la possibilità di giungere alla nomina di un amministratore di sostegno che provveda alla tutela dei suoi interessi nel minor tempo e quanto più agevolmente possibile.
Ricevuto il ricorso per la nomina dell’amministratore di sostegno, il Giudice Tutelare emette un decreto con cui fissa il giorno e l’ora dell’udienza di comparizione del beneficiario, ed eventualmente del ricorrente e degli altri legittimati, e, previa comunicazione degli atti al P.M, ne ordina la notifica al beneficiario, a chi ritenga debba essere sentito ai fini della decisione e al pubblico ministero.
Ma quali sono i soggetti che devono essere sentiti dal Giudice, quelli cioè a cui va data comunicazione del ricorso e del decreto di fissazione d’udienza ?
Le norme di riferimento sono contenute nel codice civile e nel codice di procedura civile.
L’art. 407 cod .civ. [1] specifica che il Giudice tutelare provvede, assunte le necessarie informazioni e sentiti i soggetti indicati all’art. 406 cod. civ. [2], il quale rimanda ulteriormente all’art. 417 cod. civ. in materia di interdizione, secondo il quale l’istanza (di interdizione o di inabilitazione, ma anche, in forza del rinvio, d’amministrazione di sostegno) può essere promossa dalla persona stabilmente convivente, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo grado, oltre che dal tutore, dal curatore e dal pubblico ministero.
Il codice di procedura civile disciplina il procedimento di nomina dell’ads all’art. 720 bis[3], il quale dispone che ad esso si applichino in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 712, 713, 716, 719 e 720 c.p.c.. Ai fini della notificazione, rilevano gli artt. 712[4] e 713[5], il primo dei quali specifica al secondo comma che nel ricorso debbono essere indicati il nome e il cognome e la residenza del coniuge, dei parenti entro il quarto grado, degli affini entro il secondo grado, mentre l’art. 713 sancisce che il ricorso e il decreto sono notificati a cura del ricorrente, entro il termine fissato nel decreto stesso, alle persone indicate nel ricorso stesso.
A ben vedere, le norme introdotte dalla l. 6/2004 non prevedono un vero e proprio obbligo di notificazione nei confronti dei parenti entro il quarto grado e degli affini entro il secondo: l’art. 720 bis c.p.c., infatti, dispone che all’ads si applichino gli articoli dettati in materia di interdizione “ove compatibili”.
L’esame di compatibilità va condotto, a parere di chi scrive, avendo riguardo alla ratio dell’istituto dell’ads: ora, è discutibile che l’obbligatorietà della notificazione nei confronti dei soggetti indicati sia compatibile con lo spirito della l. 6/2004. Tale legge, infatti, mira a proteggere i soggetti deboli che si trovino nell’oggettiva difficoltà di provvedere da sé alla protezione dei propri interessi, personali e patrimoniali. Mira, in altre parole, a dar sostegno ai soggetti bisognosi di protezione, obiettivo che, evidentemente, si persegue anche mediante la semplificazione del procedimento.
Imporre delle “rigidità” procedurali al ricorrente (che, lo ricordiamo, può anche non essere assistito dall’avvocato e dunque esser privo delle competenze “tecniche” necessarie), quali l’obbligo di identificare tutti i familiari del beneficiario per poi procedere con la notifica del ricorso e del decreto che dispone la comparizione, oltre che essere non conforme alla ratio dell’istituto, rischierebbe anche di disincentivare l’iniziativa del ricorrente, a discapito del soggetto debole.
Più corretto e rispondente alle finalità della legge sull’ads è quindi ritenere che la notifica nei confronti dei parenti entro il quarto grado e degli affini entro il secondo non sia obbligatoria, bensì facoltativa: il Giudice Tutelare può (e non deve) disporre che ricorso e pedissequo decreto di fissazione dell’udienza di comparizione vadano notificati, oltre che al coniuge o alla persona convivente, anche a tutti i parenti indicati dall’art. 712 c.p.c., laddove ritenga che ciò sia indispensabile nell’interesse del beneficiario della procedura. Ma, a ben vedere, in quest’ottica, il Giudice potrebbe decidere di sentire anche persone diverse ed estranee, come ad esempio la badante o l’amico stretto, qualora ritenga che siano a conoscenza di circostanze rilevanti.
La presenza in giudizio dei “parenti fino al quarto grado e degli affini fino al secondo” non è pertanto necessaria, e la mancata notificazione del ricorso e decreto di fissazione d’udienza nei loro confronti non comportano la nullità del procedimento.
Sul punto è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9628/2009 confermando, con riguardo all’istituto dell’amministrazione di sostegno, il precedente orientamento elaborato in materia di interdizione[6] e ribadendo che “i parenti ed affini a norma dell’art 712 c.p.c. (…) non hanno veste di parti in senso tecnico-giuridico, bensì svolgono funzioni consultive, essendo “fonti di informazioni” per il giudice”. Inoltre, nel “dolersi della mancata audizione di parenti ed affini” occorre anche “… indicare le circostanze non considerate dal Tribunale su cui tali soggetti avrebbero potuto fornire elementi utili ai fini della decisione”.
Di recente, con la sentenza n.14190 del 5/6/2013, la Cassazione ha precisato come nella procedura per la istituzione di un’amministrazione di sostegno, che consiste in un procedimento unilaterale, non esistano parti necessarie al di fuori del beneficiario dell’amministrazione; non è, pertanto, configurabile una ipotesi di litisconsorzio necessario tra i soggetti partecipanti al giudizio innanzi al tribunale, anche perché l’art. 713 c.p.c., cui rinvia l’ art. 720 bis c.p.c., espressamente limita la partecipazione necessaria al procedimento al ricorrente, al beneficiario e alle altre persone, tra quelle indicate in ricorso, le cui informazioni il giudice ritenga utili ai fini dei provvedimenti da adottare.
Pertanto, se ricorso e decreto di fissazione d’udienza non vengono notificati ai parenti entro il 4° grado e affini entro il 2°, ovvero se costoro non sono indicati nell’istanza introduttiva, non essendo i medesimi litisconsorti necessari (ossia, parti necessarie della causa), il procedimento non è di per sé nullo. In ogni caso, tali soggetti possono sempre intervenire spontaneamente nella causa, oppure può essere il Giudice a disporne la convocazione laddove, alla luce delle risultanze emerse nel corso del procedimento, ritenga che possano fornire delle informazioni utili.
Diversamente deve considerarsi prevalente l’interesse del beneficiario alla speditezza e snellezza del procedimento per nomina dell’Ads.[7]
Rileva anche un aspetto ulteriore. Posto che l’intero procedimento per nomina dell’ads è ispirato al principio di snellezza ed economicità, per l’appunto, non si possono trascurare i costi – anche ingenti – a carico del ricorrente che debba notificare ricorso e pedissequo decreto del Giudice Tutelare ai parenti del beneficiario.
Infatti, per procedere all’incombente della notifica,[8] il ricorrente deve innanzitutto procurarsi tante copie autentiche (più una) quanti sono i parenti cui va notificato il ricorso e pedissequo decreto, e successivamente procedere con la concreta notifica.[9] Le copie autentiche[10] di un provvedimento giudiziale vengono rilasciate dalla Cancelleria del Tribunale solo dopo aver corrisposto, per ciascun atto, una marca da bollo il cui prezzo varia a seconda di quante pagine è composto l’atto e dell’urgenza. Ne consegue, quindi, che la corposità di un atto aumenta l’importo della marca da bollo, e che più copie autentiche sono necessarie, più marche da bollo devono essere acquistate.
Occorre poi aggiungere la consequenziale spesa per il concreto procedimento di notifica che, di solito, comporta l’invio dell’atto tramite posta (sia che ci si rechi dall’Ufficio notifiche del Tribunale sia che l’Ads, se avvocato, proceda con le notifiche in proprio) con compilazione di raccomandata a/r sempre per ciascuna copia inviata.
Concludendo, quanti più sono i soggetti a cui ricorso e decreto di fissazione dell’udienza debbono essere notificati, tanto più aumentano gli oneri economici in capo al ricorrente.
Ma non solo: esistono ulteriori difficoltà di carattere pratico. Può accadere che un parente viva lontano o non se ne conosca la residenza. In questi casi, l’obbligo di notifica non può essere ostativo; d’altro canto, il fatto stesso che con quel familiare non ci siano contatti comporta di per sé che nessuna informazione utile ai fini del procedimento potrebbe essere dal medesimo fornita.
E’ evidente dunque che imporre la notifica nei confronti di tutti parenti fino al 4° grado e degli affini entro il 2°, anche considerato sia la complessità della stessa che il dispendio in termini economici che la medesima comporta, contrasta con i requisiti di semplicità, snellezza e speditezza del procedimento delineato dalla legge n. 6/2004.
Paiono esserne consapevoli alcuni Tribunali che hanno adottate delle prassi alternative e decisamente più confacenti allo spirito che anima l’istituto dell’amministrazione di sostegno.
Ad esempio, a Bologna si evita l’onere di notificare il ricorso e contestuale decreto che fissa l’udienza, attraverso un semplice escamotage: i parenti fino al quarto grado e gli affini fino al secondo vengono coinvolti in una fase antecedente la presentazione del ricorso anziché essere destinatari di una notifica successiva. E’ infatti sufficiente allegare al ricorso introduttivo una dichiarazione (corredata di copia del documento di identità) sottoscritta dai citati soggetti con cui i medesimi aderiscono al procedimento a favore del loro parente beneficiario. La dichiarazione è trascritta su moduli prestampati e da compilare coi dati del dichiarante, rilasciati dalle Cancellerie dei Tribunali. Il Giudice Tutelare dispone poi la notificazione del ricorso e pedissequo decreto (testualmente) agli altri soggetti interessati che non abbiano prestato preventivamente il consenso alla procedura di nomina dell’ads. In linea di massima vengono sentite solo le persone che siano in relazione più stretta col beneficiario, ossia il coniuge (ma anche il convivente more uxorio), i figli, i genitori, i fratelli e sorelle.
Altrove, il ricorso introduttivo viene sottoscritto dal maggior numero possibile di parenti, in modo da limitare la notifica solo nei confronti di quelli non agevolmente reperibili per la firma.
A Milano, il ricorrente indica i parenti “stretti” senza ulteriormente precisare a cui comunicherà che la procedura è stata instaurata tramite lettera raccomandata da produrre in copia all’udienza innanzi al Giudice Tutelare.
In conclusione: in considerazione dei tratti fondanti la legge n.4/2006 e dei suoi principi ispiratori basati sul rispetto dei bisogni e delle aspettative della persona, sarebbe opportuno, in un’ottica ulteriormente migliorativa, prevedere, con un intervento legislativo, una modalità informativa diversa ed alternativa rispetto alla notificazione: ad esempio, la comunicazione con biglietto di cancelleria consegnato al destinatario, o trasmesso a mezzo posta elettronica certificata, o a mezzo telefax, o anche tramite raccomandata spedita tramite il servizio postale. Quest’ultimo, in particolare, pare il mezzo più adatto nei casi in cui il ricorrente non sia assistito da un Legale, e quindi non abbia le conoscenze tecniche che in taluni casi occorrono. In sostanza, qualsiasi modalità che garantisca che il destinatario dell’atto (e pedissequo decreto di fissazione dell’udienza) ne ha avuto conoscenza, ponendolo quindi in grado di partecipare al procedimento, pare idonea a soddisfare la finalità della legge, al contempo senza appesantire la procedura.
In questo modo si eviterebbero le storture procedurali attuali, contrastanti con la garanzia di tutela piena della persona, e si garantirebbe uniformità di trattamento a prescindere dall’Ufficio Giudiziario adito.
[1] Art. 407 (Procedimento)Il ricorso per l’istituzione dell’amministrazione di sostegno deve indicare le generalità del beneficiario, la sua dimora abituale, le ragioni per cui si richiede la nomina dell’amministratore di sostegno, il nominativo ed il domicilio, se conosciuti dal ricorrente, del coniuge, dei discendenti, degli ascendenti, dei fratelli e dei conviventi del beneficiario.Il giudice tutelare deve sentire personalmente la persona cui il procedimento si riferisce recandosi, ove occorra, nel luogo in cui questa si trova e deve tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa.Il giudice tutelare provvede, assunte le necessarie informazioni e sentiti i soggetti di cui all’articolo 406; in caso di mancata comparizione provvede comunque sul ricorso. Dispone altresì, anche d’ufficio, gli accertamenti di natura medica e tutti gli altri mezzi istruttori utili ai fini della decisione.Il giudice tutelare può, in ogni tempo, modificare o integrare, anche d’ufficio, le decisioni assunte con il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno.In ogni caso, nel procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno interviene il pubblico ministero. [2] Art. 406 (Soggetti) Il ricorso per l’istituzione dell’amministrazione di sostegno può essere proposto dallo stesso soggetto beneficiario, anche se minore, interdetto o inabilitato, ovvero da uno dei soggetti indicati nell’articolo 417. Se il ricorso concerne persona interdetta o inabilitata il medesimo è presentato congiuntamente all’istanza di revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione davanti al giudice competente per quest’ultima. I responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona, ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura del procedimento di amministrazione di sostegno, sono tenuti a proporre al giudice tutelare il ricorso di cui all’articolo 407 o a fornirne comunque notizia al pubblico ministero [3] Art. 720-bis. (Norme applicabili ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno) Ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 712, 713, 716, 719 e 720.
Contro il decreto del giudice tutelare è ammesso reclamo alla corte d’appello a norma dell’articolo 739.
Contro il decreto della corte d’appello pronunciato ai sensi del secondo comma può essere proposto ricorso per cassazione. [4] Art. 712.(Forma della domanda) La domanda per interdizione o inabilitazione si propone con ricorso diretto al tribunale del luogo dove la persona nei confronti della quale è proposta ha residenza o domicilio.
Nel ricorso debbono essere esposti i fatti sui quali la domanda e’ fondata e debbono essere indicati il nome e il cognome e la residenza del coniuge, dei parenti entro il quarto grado, degli affini entro il secondo grado e, se vi sono, del tutore o curatore dell’interdicendo o dell’inabilitando [5] Art. 713. (Provvedimenti del presidente) Il presidente ordina la comunicazione del ricorso al pubblico ministero. Quando questi gliene fa richiesta, può con decreto rigettare senz’altro la domanda (1); altrimenti nomina il giudice istruttore e fissa l’udienza di comparizione davanti a lui del ricorrente, dell’interdicendo o dell’inabilitando e delle altre persone indicate nel ricorso, le cui informazioni ritenga utili.
Il ricorso e il decreto sono notificati a cura del ricorrente, entro il termine fissato nel decreto stesso, alle persone indicate nel comma precedente; il decreto è comunicato al pubblico ministero. [6] “Nel giudizio di interdizione o di inabilitazione i parenti e gli affini, che a norma dell’art. 712 c.p.c. devono essere indicati nel ricorso introduttivo, non hanno veste di parti in senso tecnico-giuridico, bensì svolgono funzioni consultive, essendo fonti di informazioni per il giudice; conseguentemente la mancata notifica del ricorso ad alcuni dei predetti, a seguito dell’omessa indicazione degli stessi nel ricorso, mentre non determina alcuna nullità del procedimento, qualora a tale omissione si sia ovviato nel corso dell’istruttoria, può costituire motivo di impugnazione soltanto quando la persistente omissione concerna un congiunto verosimilmente in grado di fornire al giudice informazioni tali da far decidere il giudizio diversamente” (così, Cass. 18/2/1982 n. 1023 e, conforme, Cass. 1/12/2000 n. 15346). [7] Vale anche una considerazione ulteriore: con i parenti fino al quarto grado e gli affini fino al secondo che facciano parte di una lontana parentela il beneficiario potrebbe non avere (e anche non avere mai avuto) alcun contatto o relazione, oppure potrebbe esistere un rapporto conflittuale. L’obbligatorietà della notifica comporterebbe quindi un’indebita intrusione di soggetti “estranei” nella sfera privata del beneficiario. [8] l’unica forma di notificazione consentita è quella tramite ufficiale giudiziario, dal momento che il ricorso per l’amministrazione di sostegno è l’atto che dà avvio ad un procedimento giudiziario e pertanto rimane assoggettato alla relativa normativa (art. 137 c.p.c.). Vanno quindi disattese le prassi che ammettono la notificazione tramite messo comunale. [9] Quanto alle modalità della notifica, alcuni Uffici Giudiziari pongono il relativo onere a carico della Cancelleria con l’ausilio degli ufficiali giudiziari; altri prevedono la notifica a carico del ricorrente ma solo nei confronti del beneficiario, ponendo l’onere di notifica nei confronti degli altri soggetti a carico della Cancelleria
[10] Il costo delle marche per copie conformi è di € 10,62 senza urgenza entro le 4 pagine; € 31,86 per ogni copia entro le 4 pagine con richiesta urgente di rilascio; € 12,41 senza urgenza tra le 5 e le 10 pagine; € 37,23 per ogni copia tra le 5 e le 10 pagine con richiesta urgente di rilascio.
L’indennità dell’amministratore di sostegno
L’incarico dell’amministratore di sostegno è essenzialmente gratuito. La gratuità è conforme allo spirito che anima la legge n. 6/2004, ossia dare una risposta adeguata alle esigenze di protezione dei soggetti deboli, avendo riguardo alla loro specifica fragilità. Affinché la risposta giunga tempestivamente, il legislatore ha delineato un procedimento particolarmente snello, agile e veloce; un procedimento i cui costi non devono gravare sul beneficiario.
Il riferimento normativo si rinviene nell’art. 411 cod. civ. il quale, al primo comma, dispone che si applicano all’amministratore di sostegno, in quanto compatibili, numerosi articoli dettati in tema di interdizione, tra i quali l’art. 379,[1] rubricato “ Gratuità della tutela” (e dunque, dell’ads): detta norma dispone, appunto, la gratuità dell’incarico, pur prevedendo la possibilità di riconoscere al tutore un’equa indennità.[2]
Occorre dunque intendersi sul significato di “equa indennità”. Non si tratta, evidentemente, di un corrispettivo vero e proprio (nel senso sinallagmatico del termine), quanto, piuttosto, di una elargizione volta a compensare il patrimonio perduto, in termine di spesa[3] e di tempo (sottratto ad altre attività), da parte dell’amministratore; una sorta di via di mezzo tra un compenso e un risarcimento, insomma.[4]
Tale indennità deve essere “equa”, ossia non minima, ma giusta, e commisurata all’attività svolta dall’ads.
Il Giudice, chiamato a liquidarla, dovrà quindi appellarsi all’equità:[5] vale a dire che la determinazione del quantum è discrezionale e rimessa al prudente apprezzamento del Giudice.[6] Come compie il Giudice le proprie valutazioni ? Considerato che la legge sull’ads esalta la cura degli interessi della persona in difficoltà, al centro di ogni valutazione, anche relativa all’indennità, dovrebbero esserci le funzioni esercitate con riferimento alla cura della persona. Ma naturalmente non si può prescindere dal patrimonio.
In materia di indennità liquidabile al tutore, è intervenuta anche la Corte Costituzionale con l’ordinanza 24/11/988 n. 1073, identificando due parametri che il Giudice dove considerare, ossia l’entità del patrimonio e le difficoltà della sua amministrazione.
Posto che, in ogni caso, l’indennità non potrà mai pregiudicare il beneficiario, e pertanto se questi abbia scarsa disponibilità economico patrimoniale, l’istanza per la liquidazione andrà respinta, nei casi in cui un patrimonio ci sia e sia sufficientemente capiente, il Giudice deve fare quindi una valutazione complessiva, quantificando l’indennità caso per caso, tenuto conto delle effettive attività svolte, ma anche dei risultati raggiunti dall’amministratore sia sotto il profilo dell’assistenza personale che della gestione patrimoniale.
Nel prendersi cura della persona del beneficiario, l’amministratore di sostegno svolge le mansioni più varie: si prende cura della sua salute, valuta le condizioni abitative e cerca soluzioni consone al rispetto della persona, oltre a svolgere adempimenti bancari, postali e fiscali: in generale cerca di migliorare la qualità della vita del soggetto debole.
Sotto il profilo “patrimoniale”, l’amministratore di sostegno diligente dovrebbe cercare non solo di preservare il patrimonio del beneficiario, ma anche, ove l’entità lo consenta, di intraprende forme di investimento e di accantonamento idonee a conservarlo, possibilmente incrementandolo.
E’ indubbio quindi che, ai fini della quantificazione dell’indennità, dovrebbe essere opportunamente valutato dal Giudice l’impegno generalmente profuso dall’amministratore, non ultimo anche in termini di partecipazione alla vita del beneficiario.
Il Giudice Tutelare potrebbe nominare quale ads anche un soggetto estraneo alla famiglia (ciò che accade allorquando nessun parente è presente o si rende disponibile, ma anche in caso di conflitti familiari): in questi casi, di solito, la scelta cade sui professionisti (soprattutto avvocati) che hanno prestato disponibilità in tal senso.
Ma, quand’anche la scelta ricada su un professionista, i compiti dell’ads restano gli stessi: la cura della persona in primo luogo, e del patrimonio in secondo. L’indennità quindi resta tale e quale, e dev’essere liquidata secondo identici principi a prescindere dalla qualifica professionale del soggetto chiamato a svolgere le funzioni di amministratore di sostegno.
Queste considerazioni portano al problema dell’inquadramento ai fini tributari dell’indennità, ossia se essa debba considerarsi reddito imponibile e quindi tassabile.
Sul punto è intervenuta l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione del 9/1/2012 n. 2/2012[7] affermando che “nell’ipotesi in cui il giudice tutelare scelga direttamente un avvocato quale amministratore di sostegno, si ritiene che la relativa indennità, anche se determinata in via equitativa e su base forfetaria, rappresenti comunque (…) un compenso per lo svolgimento di una attività professionale, inquadrabile quale reddito di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 53 T.U.I.R. e rilevante ai fini IVA ai sensi degli artt. 3 e 5 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633”.[8]
Orbene, a ben vedere, la natura non retributiva dell’indennità percepita dall’ads deriva dalla legge e prescinde dalla professione svolta dal soggetto incaricato.
L’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate pare fondata su una errata visione della l. 4/2006 che, come anzidetto, predilige la cura della persona rispetto ai profili – e quindi alle attività di gestione – patrimoniali. L’indennità all’ads è infatti liquidata in virtù, specialmente, dell’assistenza personale e deve far sì che l’ads sia tenuto indenne dalle perdite (spese, disagi e distrazioni lavorative) patite.
Il responso dell’Agenzia delle Entrate è stato fortemente criticato: la stessa giurisprudenza di merito si è espressa in modo contrario censurando la risoluzione sotto molteplici profili.
Il Giudice Tutelare del Tribunale di Trieste, col decreto 26/1/2012 (emesso appena 20 giorni dopo la risoluzione) ha asserito che “un’indennità rimane tale e non perde la sua natura indifferentemente dal soggetto che la percepisca, sia esso un parente, un conoscente, un avvocato o un imprenditore”. Nel caso di specie, il Giudice ha adottato una soluzione interessante, avendo differenziato tra gli importi dovuti per le attività svolte dall’avvocato istante a favore dell’amministrato e quelli per le attività più strettamente inerenti la sua qualifica professionale, e maggiorando solo quest’ultimi con Iva e Cpa.[9]
Con un altro decreto, il Giudice Tutelare di Varese (20 marzo 2012 – Giudice Giuseppe Buffone), evidenziando che l’opinione dell’Agenzia delle Entrate non ha valore normativo e non può vincolare l’attività interpretativa del Giudice, ha aderito alla tesi della natura non retributiva ma indennitaria, appunto, della somma liquidata dal Giudice, la quale va intesa come “’ rimborso delle spese sostenute e dei mancati guadagni del tutore/amministratore che non ha avuto la possibilità di occuparsi pienamente della cura dei propri interessi”. Il Giudice prosegue individuando, in capo alla generale figura del GT, un dovere di “liquidazione <<caso per caso>> in ragione delle effettive attività poste in essere e, anche, dei successi e risultati raggiunti dall’amministratore”.[10]
Le considerazioni sopra riportate sono pienamente condivisibili: è impensabile un trattamento diversificato a seconda della qualità soggettiva dell’amministratore di sostegno, tale per cui un professionista sia obbligato ad emettere fattura mentre un parente/estraneo non professionista sia assolto da tale incombente.
A entrambe le figure spetta un’indennità pura da tassazioni, identiche essendo le funzioni svolte dal soggetto chiamato ad assolvere il compito di amministratore di sostegno.
Peraltro, il professionista che accetta l’incarico svolgerà il ruolo di amministratore di sostegno accanto alle normali attività che rientrano nella sua professione; mediamente, il tempo che occorre dedicare all’ads incide significativamente su quello disponibile, traducendosi in minor tempo da dedicare alla professione, normalmente retribuita. Quindi, imporre la tassazione sul compenso liquidato dal Giudice elide quel minimo di gratificazione cui l’amministratore di sostegno professionista avrebbe diritto, quantomeno in termini di rimborso delle spese.
In concreto, quali possono essere le soluzioni per la quantificazione e la liquidazione dell’equa indennità all’ads professionista?
L’indennità dovrebbe essere liquidata a fronte di un’istanza ex 411 e 379 c.c. rivolta al Giudice Tutelare; ritengo che non si dovrebbe mai quantificare la richiesta di indennità in termini economici, dovendo essere ogni valutazione lasciata al Giudice Tutelare.
Certamente, in ogni caso, non si potrebbe far riferimento alle tariffe professionali perché ciò implicitamente richiama l’idea del compenso per una prestazione professionale resa.
Ciò posto, l’importo liquidato dovrebbe essere esente da IVA e altre competenze; la quantificazione dovrebbe essere fatta considerando l’entità del patrimonio del beneficiario e le difficoltà dell’amministrazione, ma sempre avendo riguardo anche all’impegno profuso dall’amministratore nella cura della persona; allorquando l’ads professionista svolga per il beneficiario un’attività strettamente inerente la sua qualifica professionale (ad esempio l’avvocato promuove un procedimento di sfratto nell’interesse del beneficiario) essa potrebbe essere fatturata normalmente (a “tariffa” agevolata) e la spesa relativa potrebbe essere inserita nel rendiconto da presentare al Giudice; l’attività più strettamente di cura ed assistenza personale andrebbe ricompensata con un’indennità a parte che tenga conto delle perdite subite dall’amministratore.
Di fatto ciascun Ufficio giudiziario adotta propri criteri, identificando limiti di consistenza patrimoniale al di sotto dei quali non viene liquidata alcuna indennità: sarebbe utile che, in ogni caso, i Tribunali adottassero dei veri e propri protocolli per la liquidazione dell’indennità e li rendessero noti.
Ad aver provveduto in tale senso è il Tribunale di Varese, che liquida le indennità secondo calcoli percentuali, partendo dal patrimonio del soggetto debole e incrementando il risultato in ragione della “difficoltà dell’amministrazione”. All’importo così ottenuto vengono aggiunte le spese documentate.
In conclusione, posto che mai l’attività dell’amministrazione di sostegno potrebbe essere remunerata con un vero e proprio corrispettivo, poiché ciò contrasterebbe con la ratio sottesa all’istituto dell’ads, sarebbe auspicabile l’adozione di una prassi comune da parte di tutti gli Uffici Giudiziari. Per l’amministratore di sostegno professionista che accetta l’incarico è importante anche avere un parametro certo: l’attività dell’ads è complicata, riguarda tutti i profili della vita del beneficiario, porta via molto tempo alla professione. Il riconoscimento di un’indennità è gratificante, lo è molto meno non vedersi riconosciuto nulla o assai meno di quanto ci si aspetta in considerazione dell’impegno profuso, specie quando il soggetto amministrato non è sprovvisto di risorse patrimoniali.
[1] Art.379 (Gratuità della tutela) L’ufficio tutelare è gratuito. Il giudice tutelare tuttavia, considerando l’entità del patrimonio e le difficoltà dell’amministrazione, può assegnare al tutore un’equa indennità. Può altresì, se particolari circostanze lo richiedono, sentito il protutore, autorizzare il tutore a farsi coadiuvare nell’amministrazione, sotto la sua personale responsabilità da una o più persone stipendiate [2] Nel corso dei dibattiti parlamentari che hanno preceduto l’emanazione della legge 6/2004 si era discussa anche l’opportunità di prevedere una vera e propria remunerazione per l’amministratore di sostegno