Magistrato ordinario del Tribunale di Milano. Dottore di ricerca in Teoria del diritto e Ordine giuridico Europeo con tesi sperimentale sull’autodeterminazione terapeutica del paziente incapace, già assistente alla cattedra di diritto privato e diritto privato comparato all’Università Magna Graecia. Già Avvocato, già funzionario ministeriale presso la Direzione Regionale del Lavoro di Milano. Ha scritto per il Sole24ore e le riviste “Il Civilista”, “Responsabilità civile e previdenza”, “Diritto&Giustizia”, “Giurisprudenza di Merito” (Giuffré ed.), “Consulenza” (Buffetti ed.) e “Neldiritto.it (neldirittoeditore, R. Garofoli).
Diplomato in bioetica internazionale a Praga (luglio 2006).
Magistrato ammesso agli scambi giudiziari Europei, per il 2009 (sede: Bordeaux – Francia) e per il 2010 (sede: Chateauroux, Francia; Barcellona: Spagna).
Membro del Comitato di redazione della rivista “Diritto delle Persone e della Famiglia”, Giuffré Editore.
QUI IL VIDEO DELL’INTERVENTO – (disponibile dal 15.4.2014)
La Tensione di snervamento dell’amministrazione di Sostegno
Sommario. 1. Patologia, protezione e stigma. 2. L’amministrazione di sostegno e il punto di snervamento. 3. Ludopatie. 4. Demenze senili. 5. Sindrome di Down. 6. Conclusioni: l’amministrazione di sostegno come progetto di protezione
[1]. Nell’Erico IV di Pirandello, un nobile diventa folle a causa di una caduta da cavallo. Molti anni dopo guarisce, ma continua a fingersi folle: prima, per non dovere affrontare la realtà dolorosa che gli si rivela al risveglio della pazzia; dopo, per evitare di essere processato per le azioni commesse. La terapia non è sufficiente per proteggere le persone fragili: possono non avere alcun interesse nel contrastare la malattia, se la realtà che si prefigura ai loro occhi, al momento del risveglio dalla follia, è fredda, solitaria, desolante. Purtroppo, ancora oggi, il malato psichiatrico accusa le conseguenze negative che derivano dallo «stigma» ovvero l’insieme di pregiudizi sociali e preconcetti che circondano la malattia mentale, specie nei rapporti interpersonali e relazionali, e creano una sorta di “marchio” invisibile attorno al paziente, visto – sovente e senza ragione – come socialmente pericoloso, aggressivo o non curabile. Lo stigma tende a creare un impoverimento dei rapporti personali del malato e, soprattutto, la sua alienazione dal contesto sociale, cosicché i danni alla persona derivano non dalla patologia ma, paradossalmente, dal modo in cui la società la ripudia, la stigmatizza. E’ paradossale: ma è meglio essere pazzi, piuttosto che essere trattati da pazzi. Nel secondo caso, la percezione della discriminazione è devastante; la realtà che circonda il soggetto ferisce: al punto che questi, proprio come l’Enrico IV di Pirandello, potrebbe preferire restar folle.
[2]. L’amministrazione di sostegno ha, nel suo codice genetico, la vocazione a fare da mediazione in questo percorso di recupero del soggetto fragile e, in particolare, del malato psichiatrico. E’ una misura di protezione che si modella plasticamente sulla persona del beneficiario e si colloca nella sua realtà familiare, relazionale e sociale. Se non è questo, l’amministrazione di sostegno è solo uno scudo protettivo ma non un progetto di protezione; quanto, invece, dovrebbe essere la regola, soprattutto nelle amministrazione a termine, destinate a consumare i propri effetti in un arco contenuto e predeterminato di tempo. Plasticità ed Elasticità dell’amministrazione di sostegno sono due elementi imprescindibili nella costruzione della misura di protezione giuridica: se non altro perché, proprio come se il giudice stesse modellando un materiale duttile, occorre fare molta attenzione a non creare deformazioni irreversibili nella persona da proteggere. Si può anche ferire nel tentativo di proteggere. In un certo senso, parafrasando le nozioni della fisica, esiste nell’amministrazione di sostegno un punto di snervamento della persona protetta: è il valore della tensione in corrispondenza della quale l’individuo passa da un comportamento elastico reversibile ad una deformazione irreversibile (cd. tensione di snervamento). In fisica, il punto dello snervamento è fondamentale nelle progettazioni in quanto segna il limite del carico a cui il manufatto può resistere. In Diritto, la mirata e adeguata protezione dell’incapace è elemento fondamentale per la riuscita del progetto protettivo. Si tratta, peraltro, di una precisa istruzione metodologica normativa, rintracciabile nella Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, e ratificata dall’Italia per effetto degli artt. 1 e 2 della legge 3 marzo 2009 n. 18. Il trattato in esame riconosce espressamente (lett. n del preambolo) “l’importanza per le persone con disabilità della loro autonomia ed indipendenza individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte” (collocati nel novero dei “principi generali”, v. art. 3 della convenzione). La Convenzione, all’art. 12 (“uguale riconoscimento dinanzi alla legge), comma IV, chiaramente statuisce: “Gli Stati devono assicurare che le misure relative all’esercizio della capacità giuridica rispettino i diritti, la volontà e le preferenze della persona, che siano scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita, che siano proporzionate e adatte alle condizioni della persona, che siano applicate per il più breve tempo possibile”. Il leit motiv della misura di protezione, pertanto, deve essere la personalizzazione. In un’occasione, si è cercato già di dare delle linee guida sulle specifiche esigenze di personalizzazione, in ragione delle precipue condizioni del beneficiario (sia consentito citare la font dei rilievi che seguono: Buffone, Volontaria Giurisdizione: tutela dei soggetti deboli, Officina del Diritto,2012, Giuffré ed.).
[3]. Ludopatie. Nelle ludopatie, il soggetto beneficiario accusa una dipendenza da gioco: più che in altri casi, è qui opportuna una amministrazione di sostegno a termine e un progetto di protezione ben modellato sui tratti personologici del beneficiario. Un conto è l’anziana che gioca eccessivamente con i «gratta e vinci»; un conto è l’imprenditore che ama troppo le sale da gioco. La parola chiave, quindi, è “distinzione” dell’un caso dall’altro. L’amministratore del ludopate deve seguire un percorso con il beneficiario inteso a fargli riacquistare la propensione al risparmio, vigilando su come vengono investiti e spesi i soldi ed imponendo soglie limite di spesa: settimanali e mensili. E’ fondamentale che l’amministratore sia un soggetto estraneo al nucleo familiare del beneficiario (la scelta compete al giudice che non è vincolato alla cerchia parentale; v. Cass. Civ., sez. I, sentenza 26 settembre 2011, n. 19596): solo nei confronti di un soggetto-terzo, si instaurerà nel beneficiario-ludopate quel minimo sentimento di “soggezione” che è necessario per accettare e seguire le istruzioni che vengono imposte (limitazioni alla spesa). Il punto di snervamento, in questo caso, è molto importante: il ludopate conserva ampiamente le proprie capacità mentali ed è in grado di autodeterminarsi nelle scelte di vita essenziali. Soprattutto, è in grado di riconoscere la sua dipendenza e percepire modalità e limiti del sostegno che gli viene offerto. Pertanto, è fondamentale che il progetto venga costruito ex ante con la partecipazione del beneficiario, il quale deve percepire la esecuzione del regime di sostegno come il frutto di una sua scelta. In difetto di ciò, la tensione di carico sul beneficiario è eccessiva e gli effetti saranno dannosi. Il graduale riacquisto della capacità di gestire il denaro, ove associata ad una riduzione della propensione al gioco, favorirà un recupero delle piene capacità del beneficiario e saranno maturi i tempi per estinguere la misura.
Ludopatia. Caratteri dell’Amministrazione.
Durata: a termine
Amministratore: Preferibilmente un soggetto esterno al nucleo familiare.
Contenuti primari: Limitazione della capacità negoziale. Introduzione di soglie di prelievo settimanale o mensili e controllo delle spese e del denaro.
Punto di snervamento: Costruire la protezione assieme al beneficiario
[4]. Demenze senili. La demenza rientra nei disturbi amnestici e ricorre quando nel paziente il deficit della memoria è associato a un disturbo cognitivo. Si tratta, in genere, di demenze senili che aggrediscono, cioè, le persone anziane (in genere, individui che hanno compiuto i 65 anni). In questi casi, il rischio è che l’amministrazione di sostegno sia un comodo contenitore entro cui collocare l’anziano, ad uso e consumo di terzi interessati (ad es. istituti che lo hanno incarico) o di parenti. Gli anziani sono patrimonio dell’umanità. L’ONU, il 25 settembre 2013, ha sottoscritto una delibera di promozione dei diritti delle persone anziane (older persons) invitando gli Stati Membri ad introdurre misure per contrastare il fenomeno della discriminazione fondata sull’età ed a rafforzare la qualità delle misure di protezione. Tutto ciò, già può avvenire con una amministrazione di sostegno che sia istituita nell’interesse dell’anziano e non del ricorrente, come, ahimè, sovente avviene.Pertanto, la parola chiave deve essere «personalizzazione» (sia consentito citare:Buffone, La protezione giuridica dell’adulto incapace: l’anziano e l’amministrazione di sostegno in Giur. Merito, 2011, 12, 2921). Il decreto, dunque, deve contenere una concisa elencazione dei doveri del rappresentante (inventario a cadenza perioda; atti per cui richiesta l’autorizzazione; rapporti con i terzi allorché si spenda il nome del beneficiario) e deve collocarsi nel contesto concreto in cui il beneficiario vive, specificando, nel dettaglio, compiti e atti per cui richiesta la rappresentanza o l’assistenza dell’amministratore. Quello che, dunque, il decreto e l’amministratore non devono fare è escludere l’anziano dalle scelte che lo riguardano: sono le cose a invecchiare e non le persone. Pertanto, il mero dato anagrafico non può rappresentare un valido motivo per escludere integralmente il beneficiario dalle scelte che lo riguardano. L’emarginazione dell’anziano è il punto di snervamento dell’amministrazione di sostegno in caso di demenze senili. La partecipazione dell’anziano è essenziale dove si tratti di mutare la sua residenza abituale (ad es., per realizzare un collocamento in struttura di assistenza o sanitaria): ciò, in realtà, è normativamente imposto. L’art. 357 c.c. non è richiamato dall’art. 411 c.c. e, dunque, il «luogo di vita» del beneficiario non può essere deciso a tavolino da giudice tutelare e amministratore di sostegno. Va sentito l’anziano e, in caso di sua contrarietà alla scelta proposta, va attivato il meccanismo di soluzione delle controversie ex art. 410 c.c. (sia consentito citare: Buffone, L’istituto dell’amministrazione di sostegno in Giur. Merito, 2013, 11, 2383). In questi casi, l’amministrazione di sostegno saràtendenzialmente a tempo indeterminato, in quanto si tratta di patologia tendenzialmente invalidante in modo progressivo.
Demenze senili. Caratteri dell’Amministrazione.
Durata: a tempo indeterminato
Amministratore: Preferibilmente un soggetto interno al nucleo familiare.
Contenuti primari: Sostituzione con rappresentanza nella capacità negoziale. Disposizioni in ordine al trasferimento in struttura protetta e di assistenza (es. RSA).
Punto di snervamento: esclusione dell’anziano da ogni scelta che lo riguardi
[5]. Sindrome di Down. La sindrome di Down non è una patologia ma unacondizione genetica: il portatore della sindrome di Down, per il mondo del diritto, non è un “malato” ma una persona diversamente abile. E, allora, è persona che non va trattata come soggetto da curare ma come soggetto da aiutare, ove la diversità si frapponga al completo e sano fruire dei diritti che l’ordinamento riconosce. Ciò vuol dire che è palesemente sbagliato l’automatismo: soggetto portatore della sindrome di Down = necessità dell’amministrazione di sostegno. Le misure di protezione non si sostituiscono a quei doveri familiari e morali che comunque devono animare un tessuto sociale di riferimento, proteggendo i più deboli. Ecco perché l’attivazione di una figura di protezione presuppone, nell’accertato riscontro di una disabilità latu sensu intesa del beneficiario, che vi siano effettivi ed attuali bisogni cui far fronte e che a tal fine non soccorra già un’idonea rete familiare, ove non sussistono conflitti ovvero dubbi sul perseguimento degli esclusivi interessi del soggetto debole da parte del contesto familiare che lo assiste, anche svolgendo talune incombenze per suo conto; pertanto, la nomina di un amministratore di sostegno impone una valutazione della complessiva situazione della persona in difficoltà. Certamente non è, conseguentemente, necessaria dove il beneficiario possa realizzare i propri interesse, facendosi aiutare da persone di maggiore competenza con gli strumenti del mandato e della rappresentanza (Cass. Civ., Sez. I, sentenza 2 ottobre 2012 n. 16770). L’amministrazione di sostegno del soggetto Down, dunque, impone una verifica concreta in ordine alle necessità cui far fronte e soprattutto impone, dove istituita, il rigoroso rispetto del criterio della residualità. Il punto di snervamento, in questo caso, è lo svuotamento delle attività del beneficiario che non può essere totalmente privato di ogni compito.
Sindrome di Down. Caratteri dell’Amministrazione.
Durata: a tempo indeterminato
Amministratore: Preferibilmente uno dei genitori.
Contenuti primari: Sostituzione con rappresentanza nella capacità negoziale, salvo minime soglie. Delega per tutte le attività amministrative e burocratiche.
Punto di snervamento: svuotamento delle attività del beneficiario
[6]. Ileana Argentin ha scritto che «la disabilità non è un limite, ma un patrimonio per la collettività» (da ultimo, v. Argentin I., Chissà cosa si prova a ballare. Gioie, passioni e battaglie di una vita con l’Handicap, Donzelli, 2011): troppe volte, però, la disabilità è solamente ricondotta a “qualcosa da proteggere”, a “qualcosa di diverso”, piuttosto che a “qualcosa da cui imparare”. Quest’equivoco, questo sguardo miope alla realtà, non può essere del giudice e degli operatori del settore Giustizia che si occupano delle persone con fragilità. E soprattutto questo codice genetico non può essere iniettato nell’amministrazione di sostegno: la misura di protezione deve essere un progetto di protezione che non si incolla sul disabile come un marchio con un bel nome – ma pur sempre un marchio – ma che condivide, con il soggetto vulnerabile, una storia di fragilità e medita, assieme al disabile, circa il quidnecessario per consentire alla persona vulnerata di diventare il meglio che sé stessa può dare. E’ fondamentale il modo in cui l’amministrazione di sostegno tratterà il beneficiario: è fondamentale perché, dal modo in cui il beneficiario è trattato e protetto, discenderà il modo in cui la vulnerabilità sarà affievolita o, ahimè, amplificata. Valga ricordare le parole di Johann Wolfgang Goethe: «trattate un essere umano per quello che è e rimarrà quello che è. Trattate un essere umano per quello che può e deve essere, e diventerà quello che può e deve essere».