Assistente sociale, laureata in “Scienze del servizio sociale” e in “Programmazione e Gestione delle Politiche e dei Servizi Sociali” con una tesi di laurea sull’utilizzo dell’amministrazione di sostegno nelle strutture residenziali per anziani in Regione Lombardia.
Assistente Sociale da dieci anni con esperienza diretta nella gestione dei bisogni e delle politiche locali di servizio sociale.
Già consigliere dell’ordine degli assistenti sociali della Regione Lombardia.
Socia Fondatrice e Presidente dell’associazione di servizio sociale professionale e tutela dei diritti umani “Nunca Mas”
Collaboratrice di www.personaedanno.it, portale giuridico a cura del prof. Paolo Cendonù
QUI IL VIDEO DELL’INTERVENTO – (disponibile dal 15.4.2014)
IL RUOLO DEI SERVIZI SOCIALI: L’ASSISTENTE SOCIALE E L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
La disciplina in commento istituisce una stretta correlazione tra giurisdizione ed istituzioni locali preposte all’assistenza delle persone fragili e il progresso nei diritti delle persone più deboli, insito nella norma, trova riscontro nella professione dell’assistente sociale che da sempre ha partecipato da vicino a tutte quelle iniziative volte a promuovere i diritti delle persone.
Il sistema integrato di interventi e servizi sociali normato dalla Legge quadro 328/2000 si propone di creare una rete di protezione sociale nei confronti delle persone e delle famiglie ed in particolare volge a prevenire, eliminare e ridurre le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio.
Infatti l’art 1 recita: “La Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione.”
All’art. 1 comma 2 della stessa legge vengono definiti come interventi e servizi sociali tutti quelli di cui all’art 128 del D.L. 112/98 che recita testualmente : “… per Servizi Sociali si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione dei servizi , gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare tutte le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia …”
Pertanto i servizi sociali sono chiamati ad intervenire a favore delle persone in difficoltà con lo scopo di promuovere la massima autonomia possibile anche attraverso l’integrazione con altri soggetti istituzionali e non.
Il codice deontologico dell’assistente sociale all’art. 11 recita : “L´assistente sociale deve impegnare la propria competenza professionale per promuovere l’autodeterminazione degli utenti e dei clienti, le loro potenzialità ed autonomie, in quanto soggetti attivi del progetto di aiuto, favorendo l’instaurarsi del rapporto fiduciario, in un costante processo di valutazione.”
Quindi il servizio sociale non può non cogliere che la legge 6/2004 è una delle poche leggi, di una certa rilevanza, che parla di autonomia della persona.
Buona parte delle finalità esplicitate dalla legge sull’amministrazione di sostegno, trovano riscontro nell’assetto deontologico dell’assistente sociale e dunque del servizio sociale professionale, perché c’è una centratura assoluta sul valore dell’unicità della persona che deve essere tutelata con la minor limitazione possibile della capacità d’agire.
Affinchè ciò si realizzi è importante che il servizio sociale attivi meccanismi di mediazione necessari al beneficiario per acquisire consapevolezza sull’iter che si intende promuovere e dunque percorrere.
Si delinea così una maggior responsabilità attribuita ai servizi e in particolare ai servizi sociali, che di questi fanno parte, in merito al loro agire quotidiano, incarnandogli il ruolo di tutori di quei diritti sociali resi esigibili nella legge nazionale 328/2000 attraverso il fondamentale principio dell’universalismo.
È dunque evidente il forte connubio esistente tra l’affermazione e lo sviluppo dei diritti di cittadinanza (o diritti sociali) e la figura dell’assistente sociale quale professionista di quello specifico campo genericamente identificato come “il sociale”.
Un campo connotato da un elevato grado di complessità, poiché generato dall’intreccio dinamico di molteplici fattori e fenomeni che tendono a generare tensioni, vincoli e conflitti.
E’ evidente però, per quanto risulta sempre opportuno ripeterlo, che il sociale non è solo disagio, deprivazione cumulativa e sofferenza, ma è anche e spesso, come da visione operativa del Social Work, possibilità di indurre metamorfosi nei rapporti macro e micro.
È la possibilità di innescare processi significativi di cambiamento, suscitando progettualità e promuovendo l’autonomia delle persone, nonché incidendo sulle interazioni tra singoli e gruppi in grado di attivare forme di responsabilità solidale e nuovi e più intensi legami di comunità e reciprocità.
Si evidenzi infatti come ciò che caratterizza il servizio sociale professionale e lo differenzia da altre professioni è la sua capacità di orientarsi in un approccio multidimensionale finalizzato al raggiungimento del benessere totale della persona e della società, come elementi interdipendenti attraverso anche una funzione di responsabilizzazione del singolo, cosi come delle famiglie e dell’intera collettività.
Come tutore dei diritti sociali e promotore di cittadinanza attiva, l’assistente sociale coglie come opportunità l’istituzione dell’amministrazione di sostegno in quanto strumento utile a tutelare e sostenere le persone prive in tutto o in parte di autonomia e individua la responsabilità dei servizi e degli operatori a cogliere il bisogno e ad attivarsi per permettere l’utilizzo di tale istituto giuridico, oltre alla responsabilità di collaborare alla costruzione di progetti individualizzati d’aiuto.
I servizi sociali dunque palcoscenico illuminato dell’importante incontro tra bisogni e risposte, tra domanda e offerta, oltre che un luogo in cui ragionare in termini culturali e antropologici.
L’affermarsi di bisogni sempre più complessi e articolati richiede inevitabilmente unitarietà di interventi, progetti personalizzati, continuità assistenziale, valutazione multiprofessionale del bisogno, condivisione degli obiettivi, progettazione integrata delle risposte, valutazione partecipata degli esiti, rafforzamento al massimo dell’informazione che altrimenti porterebbe al pregiudizio.
E solo nei modelli multidimensionali di servizi altamente flessibili è possibile trovare strategie per garantire al cittadino una migliore qualità di vita ed evitare il ricorso a forme improprie di alienazione dei diritti sociali.
Come dice il prof. Cendon “l’amministrazione di Sostegno è una figura da gestire coralmente” ed è nel sistema integrato dei servizi, composto da operatori, giudici tutelari, amministratori di sostegno e beneficiari della protezione giuridica, che tutti possono concorrere per la realizzazione di un accurato concerto, dove ogni azione, ogni vibrazione, suono, gestualità si armonizza al tutto, senza perdere la propria autonomia e specificità.
Certamente un compito importante che esplicitamente la legge 6/2004 attribuisce anche ai servizi sociali del territorio è quello di responsabilizzarli della segnalazione per l’avvio della pratica in sedi giurisdizionali, ai sensi dell’art 406 c.3 codice civile: “ I responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona, ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura del procedimento di amministrazione di sostegno, sono tenuti a proporre al giudice tutelare il ricorso di cui all’articolo 407 o a fornirne comunque notizia al pubblico ministero.”
Si palesa dunque di una responsabilità non solo funzionale, ma anche giuridica degli operatori e dei servizi in caso di mancata attivazione e/o segnalazione di situazioni pregiudizievoli presso le sedi preposte.
Certamente la norma arricchisce i compiti istituzionali del servizio sociale e, dunque, introduce un dovere nuovo e aggiuntivo, da salutare certamente con favore in quanto, da un lato, introduce un controllo diffuso capillarmente sul territorio con riguardo agli adulti incapaci e, dall’altro, prevede sempre e comunque l’intervento del magistrato per la decisione finale. Sarà poi il giudice tutelare a convocare i parenti e a verificare, di conseguenza, se sussista, in concreto, quella effettiva necessità di tutela che il servizio si è limitato a segnalare come, in via probabilistica, opportuna.
Tale possibilità di ricorso da parte dei servizi si connota inoltre come ulteriore garanzia per tutte quelle persone che non avendo una rete informale di supporto potrebbero vedere limitato il loro accesso all’istituto, infatti l’esperienza pratica di questi anni dimostra che nel nostro territorio la disposizione normativa è stata utilizzata in modo appropriato in ipotesi in cui la persona bisognosa di assistenza era priva di familiari o i familiari non si rendevano conto della necessità di un intervento tutelante. Si è trattato quindi di ipotesi in cui l’intervento del servizio sociale o dell’ente di cura ( che peraltro ha sempre sentito i famigliari prima di procedere) ha consentito l’emersione di situazioni che, altrimenti, ben difficilmente sarebbero state sottoposte al vaglio del giudice
Nella sua segnalazione al giudice tutelare, il servizio sociale professionale dovrà prestare attenzione ad elementi quali il grado di autonomia della persona, intesa come capacità di svolgere gli atti quotidiani della vita, i motivi per i quali si ritiene opportuno ricorrere all’amministrazione di sostegno, i problemi insorti o che si intende prevenire, i beni mobili e immobili non amministrabili direttamente ed esclusivamente dalla persona, le persone che intessono relazioni significative con il beneficiario dell’eventuale misura di protezione e, last but not least, la volontà del beneficiario.
Sarà inoltre compito e dovere dei servizi sanitari evidenziare le condizioni organiche e psichiche che oggettivamente limitano la capacità d’agire della persona.
Tra i possibili ruoli dei servizi sociali in ambito di amministrazione di sostegno non si dimentichi inoltre l’importanza istituzionale che questi acquisterebbero nella sensibilizzazione e diffusione di una corretta e ponderata cultura dell’amministrazione di sostegno, anche attraverso l’attivazione di sportelli di prossimità e a supporto del nuovo sistema di protezione giuridica.
Sportelli chiamati al duplice compito di orientare e supportare persone ignave della competenza dei servizi sociali professionali su una materia che per l’immaginario comune, è di praticità e abilità esclusivamente legale.
A tal proposito ritengo importante sottolineare la rilevanza nella decodificazione degli strumenti e del loro denso contenuto tecnico all’interno del quale si addensano dispositivi di conoscenza e orientamento delle politiche sociali, secondo il principio di “parzialità degli strumenti” di Lascoumes e e Le Gales.
Sportelli di prossimità che accentrerebbero gli agiti di sussidiarietà e le azioni di differenti forme di responsabilità sociale locale, in grado di porre i destinatari dei servizi e delle politiche sociali, in una posizione differente e privilegiata, trainandoli dal lungo stanziamento sull’individualizzazione e il conseguente isolamento verso una sponda di partecipazione attiva, responsabile e organizzata all’interno della collettività.
Per il servizio sociale professionale e per i professionisti che al suo interno operano quotidianamente la legge sull’amministrazione di sostegno ha dunque incarnato sicuramente delle leve sulle quali poter muovere lo spostamento delle politiche dall’asse culturale delle persone privabili dei propri diritti ( come connotato nel vecchio sistema di protezione giuridica) all’asse volto al sostegno delle capacità residue e al potenziamento del riconoscimento dei diritti di vecchio cosi come di nuovo conio.
Inoltre la nuova legge fa confluire, nella rosa dei potenziali beneficiari di una protezione giuridica, puntuale e vigile, anche altre categorie di soggetti che spesse volte, hanno come unica porta d’accesso al sistema istituzionale, i servizi sociali e i loro operatori. Tra questi ricordiamo: le persone semplici a rischio di raggiri o incapaci di amministrare il proprio denaro, le persone che vivono in isolamento sociale o deterioramento abitativo, le persone deboli incapaci di far valere i propri diritti, le persone con disturbi delle personalità o comportamenti disordinati, i detenuti, i tossicodipendenti, gli alcoldipendenti, i ninfomani, gli homeless e le persone che si lasciano andare non pensando più ai loro interessi.
Un punto critico a cui voglio dare risalto poiché frequentemente rilevato è quello connesso alla ricaduta della gestione delle amministrazioni di sostegno sugli operatori dei servizi sociali.
Come è noto la legge 6/2004- art 408- ha espressamente escluso dalla possibilità di accedere al ruolo di amministratore di sostegno gli operatori dei servizi, sia pubblici che privati, che siano implicati nei programmi di assistenza e cura del beneficiario.
Lo scopo di tale divieto era indubbiamente quello di evitare un conflitto di interesse a rischio di configurazione – si pensi a titolo esemplificativo alla necessità di erogare un contributo al fine di risanare un problema di natura economica del beneficiario di amministrazione di sostegno quanto tale figura è incarnata dal responsabile dei servizi sociali che dovrà autorizzare l’atto amministrativo- e di non snaturare il percorso di amministrazione con un amministratore, per sua natura, privo del requisito di prossimità. Tale incompatibilità consente inoltre all’AdS di far valere i diritti del beneficiario anche nei confronti dei servizi che lo hanno in cura o in carico. I servizi socio sanitari a loro volta trovano nell’amministratore di sostegno un interlocutore interessato per la risoluzione delle problematicità emerse.
Ciononostante è sovente abitudine dei giudici tutelari nominare quale amministratore di sostegno la pubblica amministrazione – nella persona del Sindaco pro tempore, che a sua volta delega di norma i servizi sociali – eludendo il principio del conflitto di interesse e riconoscendo nell’istituzione pubblica un interlocutore privilegiato per la protezione dei soggetti fragili, anche laddove sussista una rete famigliare che, se adeguatamente supportata, potrebbe rivestire il ruolo di amministratore.
Seppur bisogna considerare quelle situazioni in cui l’assenza totale di una rete di supporto o la sua inabilità, non consentono valutazioni differenti dalla nomina della pubblica amministrazione, è anche vero che la soluzione a tale discrepanza è ancora da ricercarsi nel territorio.
È infatti logico pensare che un territorio fertile e attrezzato sarebbe in grado di fornire risposte non istituzionali anche a quelle situazioni di persone prive di validi reti famigliari.
Al fine di consentire una diffusione della cultura della protezione giuridica e avviare modelli operativi di supporto, a livello regionale e nazionale, sono stati ideate numerose esperienze progettuali.
Personalmente convengo sulla necessità di sensibilizzare e formare dei volontari in grado di interagire e di porsi come validi interlocutori dei tribunali nella nomina e nella gestione delle amministrazioni di sostegno a favore delle persone prive di reti famigliari di supporto valide, ma riserbo delle remore circa la possibilità che tale percorso di costituzione di una rete di supporto di tale rilievo possa essere realizzato esclusivamente dal terzo settore senza la costante regia e l’affiancamento della pubblica amministrazione.
Ritengo infatti che la gestione integrata di servizi anche complessi come può essere un servizio di protezione giuridica non può eludere dalla garanzia di continuità e organizzazione offerta dalla Pubblica Amministrazione che per ruolo istituzionale e per competenze professionali ha la possibilità di convogliare e ordinare le differenti realtà chiamate a partecipare alle nuove forme di welfare.
Un ruolo di regia che dovrà essere garantito dal piano di zona e dai singoli comuni chiamati ad evidenziare le peculiarità del territorio e dei suoi abitanti , coinvolgendo, tanto a livello operativo quanto a quello programmatorio, tutte le parti chiamate a costruire sistema, sinergie, scambi e sintonie sinfoniche , affinchè il suono dell’orchestra non appaia uno scoordinato frastuono di voci, ma si componga magistralmente e all’unisono.