Il delicato tema dell’autonoma e libera impugnabilità dei decreti del Giudice Tutelare, ovvero sia il decreto di apertura dell’amministrazione e quelli successivi adottati nel corso della procedura, da parte del beneficiario dell’amministrazione di sostegno ha rappresentano un profilo, sul quale nella giurisprudenza tutelare non vi sono state sempre pronunce unanimi.
Se la soluzione maggiormente conforme alla normativa ammetteva la libera impugnabilità di detti decreti, non mancavano pronunce di segno opposto, che richiedevano in tal caso la preventiva autorizzazione del Giudice Tutelare per la proposizione di tali impugnative ed il prodromico conferimento del mandato al difensore.
Con l’ordinanza in commento la S.C. affronta in modo compiuto la questione a seguito di ricorso di legittimità avverso un decreto del Tribunale di Civitavecchia in composizione collegiale che, in sede di reclamo, aveva confermato la necessità dell’autorizzazione del Giudice Tutelare per il conferimento del mandato al difensore a presentare l’impugnativa, in quanto atto straordinario.
La Cassazione, ritenendo fondato il ricorso, statuisce in modo chiaro che i beneficiari di una Amministrazione di Sostegno sono dotati di una autonoma legittimazione processuale non solo ai fini dell’apertura, ma anche per impugnare i provvedimenti adottati dal Giudice Tutelare nel corso di tale procedura, essendo, invece necessaria l’assistenza dell’Amministratore di Sostegno e la previa autorizzazione del Giudice Tutelare, a norma del combinato disposto dell’art. 374 c.c., n. 5 e art. 411 c.c., per l’instaurazione di giudizi nei confronti di soggetti terzi estranei a tale procedura.
A fondamento di tale decisione la S.C. rammenta che, se è vero che, ai sensi del combinato disposto dell’art. 374 c.c., n. 5 e art. 411 c.c., i beneficiari di una amministrazione di sostegno, per promuovere un’azione giudiziaria nei confronti di terzi (pur con le eccezioni previste dallo stesso art. 374 c.c., n. 5), devono essere autorizzati dal Giudice Tutelare, dovendosi osservare la disciplina generale di cui l’art. 75 c.p.c., secondo cui le persone che non hanno il libero esercizio dei diritti non possono stare in giudizio se non rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme che regolano la loro capacità (art. 374 c.c., n. 5 e art. 411 c.c.), i beneficiari di amministrazione di sostegno sono dotati di una autonoma legittimazione processuale ai diversi fini dell’apertura dell’amministrazione di sostegno e per impugnare i provvedimenti adottati dal Giudice Tutelare nel corso di tale procedura.
Tale autonoma legittimazione trova il proprio fondamento normativo, in primo luogo, nell’art. 406 c.c., che costituisce una evidente deroga alla regola generale dell’art. 75 c.p.c., nella parte in cui attribuisce la legittimazione processuale a proporre il ricorso per l’istituzione dell’Amministrazione di Sostegno allo stesso beneficiario (rectius beneficiando) “anche se minore, o interdetto o inabilitato”.
Un ulteriore fondamento normativo di tale autonoma legittimazione è costituito dall’’art. 411 c.c., comma 4, che dispone che “il giudice tutelare, nel provvedimento con cui nomina l’amministratore di sostegno, o successivamente, può disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previste da disposizioni di legge per l’interdetto o per l’inabilitato, si estendano al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, avuto riguardo all’interesse del medesimo ed a quello tutelato dalle predette disposizioni. Il provvedimento è assunto con decreto motivato a seguito di ricorso che può essere presentato anche dal beneficiario direttamente”. Il beneficiario può quindi presentare ricorso ex art. 411 c.c. anche “successivamente” al provvedimento con cui il giudice tutelare nomina l’amministratore di sostegno” e può farlo “direttamente”, senza dover essere assistito o autorizzato.
L’autonoma legittimazione del beneficiario all’impugnativa trova il suo fondamento anche nella più generale e logica esigenza di evitare l’evidente conflitto di interessi in cui si troverebbe, diversamente, lo stesso Giudice Tutelare, che sarebbe chiamato a valutare l’impugnabilità di provvedimenti dallo stesso emessi.
La legge Fallimentare all’art. 31 infatti stabilisce che il curatore non può normalmente stare in giudizio senza l’autorizzazione del giudice delegato, salvo che debba contestare gli stessi provvedimenti adottati dal G.D. in sede di verifica dello stato passivo.
Evidente è l’analoga ratio delle due diverse ipotesi normative ovvero quella evitare il conflitto di interessi in cui si troverebbe il Giudice chiamato a valutare l’impugnabilità di provvedimenti dallo stesso emessi.
La pronuncia in commento chiarisce pertanto definitivamente un profilo che non sempre aveva trovato una soluzione unanime e che nell’ipotesi di accoglimento della tesi restrittiva avrebbe anche comportato una compressione del diritto di difesa, che ha valenza costituzionale.
E’ ora quindi principio pacifico che il beneficiario dell’amministrazione di sostegno può autonomamente impugnare i decreti adottati dal Giudice Tutelare senza l’assistenza dell’AdS e la previa autorizzazione del Giudice Tutelare e quindi a monte anche liberamente conferire mandato al difensore, per promuovere la relativa azione. Rimane ferma la necessità dell’autorizzazione del Giudice Tutelare e l’assistenza dell’AdS invece per promuovere giudizi verso terzi estranei alla procedura.
Si ritiene, a parere dello scrivente, che possa solo residuare un potere autorizzatorio del Giudice Tutelare al pagamento delle spettanze del difensore nominato liberamente dal beneficiario, qualora nel decreto di apertura o in successive modifiche e/o integrazioni dello stesso siano previste limitazioni al potere di spesa delle sue risorse da parte del beneficiario.
Infine la Cassazione ribadisce la competenza della Corte d’Appello a decidere sui reclami avverso i decreti del Giudice Tutelare, non riguardanti la mera gestione del patrimonio del beneficiario, escludendo quella del Tribunale in composizione collegiale, che era stato erroneamente adito nel caso di specie e che non aveva rilevato il proprio difetto di competenza.
avv. Filippo De Luca