IL PICCOLO 26 APRILE 2020
TRIESTE. Trieste ha sempre vissuto sul limite di una frontiera chiusa: arrivavi fin lì…poi per andare oltre dovevi avere un documento specifico. Vi dice niente? E c’è sempre stato una specie di dialogo tra quelli che erano chiusi di qua e quelli che erano chiusi di qua e quelli che erano chiusi di là. Vite di confine e viste sul confine. Definire un confine è sempre un’azione ambivalente. Il confine alla fin fine ti difende, e lo sappiamo bene, ma ti limita, e oggi lo possiamo provare sulla nostra pelle. Ti fa sentire al sicuro ma provoca anche un insano desiderio di oltrepassarlo: credo sia umano. Ultimamente facciamo sperticate discussioni sull’apertura o chiusura delle frontiere, se e come allargare le maglie dei divieti, e questo è un punto dirimente. Questo la dice lunga sul fatto che una volta che si stabilisce un limite, non è mai facile superarlo. Per certi versi l’uomo ha sempre avuto bisogno di un confine, pur in rapporto piuttosto contraddittorio. La frontiera è un luogo per certi versi estraniante, non sta né di qua né di là, e forse quello stesso senso di estraniamento lo stiamo vivendo un po’ oggi. Quello che fino a pochi mesi fa potevamo fare ed era a portata di mano, quella possibilità che esisteva proprio oltre la porta oggi viene negata, eppure quell’azione era mia l’altro ieri. Questo limite genera una specie di distinzione tra noto ed ignoto.
Ricevere dei limiti, dei divieti, sentirsi dire dei “no”, genera un confine ma favorisce la crescita, un processo di soggettivazione, d’altronde senza limite non c’è identità. Ed è per questo che dobbiamo salvaguardare la nostra identità in questo momento.-
Alessio Pellegrini