La scelta non si può basare sul grado di incapacità e/o l’entità del patrimonio, a differenza di quanto sostiene Corte di Appello di Ancona confermata da Corte di Cassazione con sentenza 7999 del 26 febbraio 2014, depositata il 4 aprile 2014.
Il caso. Essendo migliorate le condizioni di salute dell’interdetto, affetto da psicosi paranoidea ben compensata dalle terapie farmacologiche, il Tribunale di Pesaro, con sentenza del 2 marzo 2011, revocava l’interdizione e, ritenendo comunque necessario un amministratore che provvedesse al compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, disponeva l’inabilitazione dell’interessato e nominava un curatore;
la decisione veniva impugnata da inabilitato e dal curatore davanti alla Corte di appello di Ancona che, con sentenza del 9 agosto 2012, rigettava l’appello osservando che la decisione del tribunale era giustificata dal permanere di una parziale incapacità di intendere e volere della persona e dalla titolarità di un consistente patrimonio mobiliare e immobiliare di difficile gestione.
Anche la decisione della Corte di Appello veniva impugnata, ma la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, ritenendo che la Corte di Appello avesse deciso sulla base di una valutazione di fatto adeguata e immune da vizi logici e come tale non censurabile.
La Suprema Corte, dopo aver enunciato compiutamente i principi informatori della legge 6/2004 e i principi maturati dalla giurisprudenza, li disattende nel dichiarare inammissibile un ricorso che denuncia la violazione di legge e la contraddittorietà della motivazione dei giudici di merito:
se infatti l’amministrazione di sostegno è strumento flessibile che lascia al giudice di merito la valutazione delle categorie di atti che possono essere compiuti nell’interesse del beneficiario (ai sensi degli art 405 e 409 c.c.), modulando i livelli di protezione mediante l’attribuzione di poteri di rappresentanza esclusiva e/o di assistenza necessaria che possono riguardare sia gli atti di straordinaria amministrazione sia (almeno in parte e ove necessario), sia gli atti di ordinaria amministrazione, occorre chiedersi perché l’amministrazione di sostegno non dovrebbe essere considerata lo strumento di protezione da preferire in concreto alla inabilitazione;
non deve trascurarsi, infatti, che l’inabilitazione è stretta entro i rigidi schemi degli artt.424-394 cod civ. che lasciano completamente privo di protezione proprio l’ambito degli atti di ordinaria amministrazione, quello cioè che, per comune esperienza, si rivela essere più esposto al rischio di pregiudizio da parte di una persona che sia considerata ancora bisognevole di protezione per la sua malattia.
Pensiamoci: non è forse nel quotidiano gioco d’azzardo o nella quotidiana assunzione di alcol/droga che una persona affetta da dipendenza patologica prosciuga il proprio patrimonio? Non è forse in spese quotidiane sproporzionate alle proprie esigenze che una persona affetto da disturbo mentale più meno compensato si espone a recare a sé o alla propria famiglia un pregiudizio economico?
Può dirsi allora che l’inabilitazione sia uno strumento “adeguato” di protezione?
A questo interrogativo dovrebbero rispondere i giudici di merito e di legittimità quando decidono quale misura adottare.